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Sessione 20 - Social Investment between conflict resolution and functional problem-solving

Coordinatori/Coordinatrici di sessione: Tommaso Frangioni (Università di Torino), Stefano Ronchi (Università degli Studi di Milano), Francesca Tomatis (Università degli Studi di Milano)

Interverranno: Elena Granaglia (Università di Roma Tre), Laura Cataldi (Università di Torino)

 

Un aspetto cruciale dei sistemi di welfare contemporanei consiste nell’allontanamento dal cosiddetto modello “classico” post-bellico verso un modello di Social Investment. Anche laddove questa transizione non sia stata esplicita, se ne possono scorgere tracce, tanto discorsive quanto operative, in diversi ambiti di policy, sia a livello nazionale che a livello locale. Se l’obiettivo del social investment è quello di riconciliare inclusione sociale e produttività economica, però, l’implementazione concreta di nuove politiche di investimento cela numerose insidie. Dall’incontro fra il modello dell’empowerment dei cittadini-utenti e la necessità di assicurare la produttività degli ‘investimenti sociali’ può derivare la pervasività di meccanismi basati sull’attivazione e la condizionalità che comportano una iper-responsabilizzazione dei cittadini e una de-responsabilizzazione delle istituzioni, spesso declinati anche in chiave workfaristica. Alla personalizzazione dei servizi corrisponde una maggior targhettizzazione e frammentazione degli interventi, e ciò mette potenzialmente in discussione tanto l’universalismo beveridgiano quanto la sua variante selettiva.

I vincoli alla spesa pubblica e la logica di privatizzazione del welfare hanno fatto sì che il coinvolgimento del settore privato profit e non profit fosse sempre maggiore. Questa riconfigurazione fa sì che lo Stato assuma un triplice ruolo, agendo sia come fornitore di servizi (soprattutto a livello locale) che come datore di lavoro nei servizi pubblici, che come coordinatore in caso di esternalizzazioni. Sempre più frequentemente, e soprattutto per i cosiddetti “soggetti socialmente non produttivi”, la presa in carico viene spesso delegata a reti informali e alla famiglia, oltre che a una serie di provider locali. Tale situazione presenta due rischi: il primo, rappresentato dalla eventuale generazione di lavoro sottopagato nei servizi di ‘investimento sociale’ (servizi di cura, assistenza, attivazione al lavoro, asili, scuole, ecc.), soprattutto in contesti in cui si verificano esternalizzazioni su larga scala. Il secondo rischio è quello che al lavoro sottopagato e di bassa qualità degli operatori corrisponda un’offerta di servizi di bassa qualità ai cittadini e agli utenti, soprattutto quelli più vulnerabili. Questa situazione compromette le sinergie che potrebbero generarsi a partire da un settore pubblico fortemente implicato nell’offerta e nella gestione dei servizi di welfare, e rischia dunque di rafforzare le disuguaglianze, invece di attutirle.

La sessione accoglie contributi teorici ed empirici (qualitativi e quantitativi) che si interrogano su come si possa immaginare la transizione verso un welfare sostenibile e responsabile, in grado di offrire sufficienti garanzie di universalismo e contemporaneamente di sostenere l’individuo sprovvisto di reti di sostegno afferenti ai due grandi principi di regolazione, mercato e famiglia. Infine, la sessione si propone di indagare quali impostazioni istituzionali e articolazioni di governance multi-livello facilitano o ostacolano l’attuazione delle politiche di Investimento Sociale.

 

 Accepted paper:

 

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